(di Alessandra Piubello) Sorriso aperto, fermezza negli occhi castani, la veronese Paola Gregori dal suo ufficio di direttore generale della seconda cantina sociale trentina per volumi (circa 130.000 quintali d’uva) ci accoglie con modi franchi e diretti. Ha un curriculum davvero notevole. Mentre studiava per laurearsi in Economia e Commercio trascorre un biennio all’École Nationale Supérieure Agronomique a Montpellier (ENSAM). Poi due master, uno in commercio del vino verso l’Estremo Oriente a Parigi all’interno della borsa di studio Galileo Galilei e l’altro in gestione integrale d’impresa, il primo Master in Business Administration che iniziava allora al CUOA di Altavilla Vicentina.

Trent’anni nel mondo del vino, se consideriamo anche gli studi. Cosa l’ha spinta a scegliere quest’ambito?

“I miei parenti erano produttori, sono cresciuta nei vigneti. Quando sono entrata a Economia e Commercio, ho avuto la fortuna di incontrare il Prof. Giuseppe Gaburro all’epoca direttore del dipartimento di politica economica e presidente della cantina sociale di Negrar, che mi sollecitò a fare delle ricerche sulla riforma dell’OCM Vino. Così decisi di prendere la borsa di studio Galileo Galilei per la Francia e conobbi il Prof. Étienne Montaigne, che mi aiutò ad approfondire l’argomento. In quel periodo l’École Nationale Supérieure Agronomique stava iniziando anche la mappatura del DNA della vite, erano anni di grande fermento per la ricerca enologica e fu Montaigne a suggerirmi una tesi internazionale da discutere in entrambi gli atenei (Sorbona di Parigi e l’Università di Verona). L’argomento appunto era la riforma dell’OCM Vino, attraverso temi quali l’arricchimento, l’estirpazione dei vigneti, accompagnati da un’analisi economica delle aziende vitivinicole francesi. Nella stesura della tesi, ritenuta di grande interesse, fui coadiuvata sia da Montaigne sia dal Prof. Enologo Roberto Ferrarini. Al mio ritorno dalla Francia, fu organizzato un grande convegno presso l’Università di Verona per presentare al mondo del vino la mia tesi. E sa chi sponsorizzò il convegno? Fu proprio Emilio Pedron, ad del Gruppo Italiano Vini. Dopo tutto ciò il disegno lavorativo era tracciato. Direi che nel mio percorso professionale tutto è arrivato in modo molto naturale, quasi un destino segnato. Dopo poche settimane fu Emilio Pedron a cercarmi per chiedermi di entrare nel Gruppo Italiano Vini”.

Gregori lavora per 17 anni nel GIV, poi si dedica alla libera professione gestendo per 8 anni fasi strategiche di processi aziendali, lavorando per molte aziende importanti, dalla Valpolicella al Lugana, dal Prosecco alla Franciacorta alla Puglia. E poi, dalla Valpolicella dove vive da ormai venti anni, ecco che la sua carriera fa un salto in avanti proprio in terra trentina. Vale proprio il detto nemo propheta in patria…Lei è la prima donna direttore generale in una cantina cooperativa trentina nella storia della regione. Come vive questo importante risultato e questa responsabilità?

“Innanzitutto devo dire che superata la sorpresa iniziale i trentini si sono dimostrati molto accoglienti ed inclusivi. Spero di aver aperto le porte alle manager. La responsabilità che vivo qui è più sentita rispetto alle realtà tradizionali. Oltre alla responsabilità aziendale si aggiunge quella sociale. Vivallis copre la vasta zona viticola della Vallagarina che è la più estesa del Trentino e non solo. Qui la viticoltura è vita ed espressione di un popolo e di un territorio, i viticoltori vivono davvero la cooperativa, sono come una grande famiglia, che io vorrei chiamare una grande squadra. Le decisioni si prendono assieme, ognuno di loro può dare il proprio contributo e sono circa 750 soci da ascoltare. Il mio compito è quello di aiutarli a valorizzare le loro uve e di produrre vini espressione di questo terroir”.

Gregori è donna pratica e brillante. Sposata, 51 anni, due figli, non deve essere stato semplice portare avanti una carriera.

“Una donna deve imparare in fretta che alla base della sua serenità e del suo successo ci deve essere una perfetta e rigida organizzazione operativa a 360 gradi. Mi aiuta il fatto di dormire solo 5 ore per notte. Poi io ci metto l’anima in quello che faccio e questo mi dà un’energia incrollabile. Non mi faccio prendere da dietrologie, forse essendo sempre vissuta in mezzo agli uomini ho imparato ad essere semplice, ad andare dritta al sodo, a risolvere i problemi”.

La osservo mentre parla, ha un eloquio sereno e una vitalità impressiva. Non è “solo” una manager, una donna di numeri. Si sente il cuore che batte. Non a caso è stata a contatto per tanti anni con Pedron, uno che viveva il vino come cultura, a 360°, enologicamente, agronomicamente, scientificamente (Ruggeri ha il pallino delle scienze) ma anche come patrimonio della nostra cultura, da trasmettere con emozione. E’ anche insegnante di Economia e Marketing al FEM e questo suo approccio aperto, curioso e culturale al mondo del vino, con una visione ampia e internazionale, sarà un arricchimento per tutto il mondo del vino trentinoLei subentra a Mauro Baldessari, che lascia dopo 15 anni. Com’è ad oggi la situazione della cantina cooperativa?

“Ho la grande fortuna di trovare una cantina completamente rinnovata con 25 milioni d’investimenti, dotata delle tecnologie più nuove ed avanzate, forse, ad oggi, la più all’avanguardia di tutto il Trentino. Mauro Baldessari ha operato con estrema professionalità, sia con i soci sia con i collaboratori, creando una squadra molto competente in ogni sua divisione, unita e devota. Baldessari non ha perso tempo nel passaggio delle consegne, ci tiene a trasmettermi tutto il pregresso ed il suo know-how con passione. Lo apprezzo molto perché, di fatto, sono entrata in casa sua, dove ha costruito tutto lui, e proprio quando è completamente nuova e tutto ben funzionante la deve lasciare per il raggiungimento della pensione. In Trentino il senso del dovere e la dedizione al bene dell’azienda prende il sopravvento sulle emozioni personali. L’enologo è Flavio Cristoforetti, che sarà il mio braccio destro, artefice di tutti i vini che oggi possiamo degustare nel nostro grande e moderno wine shop”.

Ritiene che il sistema cooperativo trentino sia virtuoso?

“Sì, basti pensare che il socio viticoltore è costantemente monitorato dallo staff tecnico della cooperativa e non può usare pratiche viticole o prodotti per la difesa della vite diversi da quelli indicati da noi. E’ obbligato a lavorare bene, mentre il viticoltore autonomo non è controllato da nessuno e può fare quello che vuole, nel bene e nel male. I vini delle cooperative devono rispettare obbligatoriamente una lunga e rigida serie di parametri di salubrità e tutto ciò è garanzia di qualità, oltreché di un ottimo rapporto qualità-prezzo. I nostri soci sono molto legati alla cooperativa, sono orgogliosi del lavoro che fanno, s’informano, intervengono alle assemblee e vogliono dire la loro. Si sentono una grande famiglia, sono uniti per promuovere il loro territorio. Il direttore è il riferimento per i soci, che li segue e li sostiene ogni volta che c’è un problema. La cantina fa da supporto tecnico e amministrativo e a fine anno si conferisce una buona remunerazione. Sono i soci i primi fedeli consumatori delle nostre bottiglie ed i migliori brand ambassador. Dovremmo fare così anche noi veronesi con i nostri vini”.

Secondo Lei quali sono le maggiori differenze tra il mondo cooperativo veronese e quello trentino?

“La mentalità è differente. Nel bene e nel male i trentini sono più uniti, combattono tutti per un unico scopo. Mentre da noi prevale l’individualismo anche nelle cantine sociali”.

Come sta organizzando il Suo lavoro in Vivallis ora e come pensa di farlo in futuro?

Entro in continuità con il lavoro impostato. L’obiettivo è quello di consolidare il risultato e crescere in maniera costante e solida al fine di dare redditività e sicurezza alla filiera viticola, proponendo vini sempre più rappresentativi e caratterizzanti. Nel futuro userò la filosofia del team building, le idee sono molte, le possibilità pure, dobbiamo solo metterle in fila e realizzarle una alla volta.

Qual è il Suo sogno professionale?

“Era quello di fare il direttore generale. Questa è l’occasione di rimettermi ‘la maglia di una squadra’ ed accompagnarla nella crescita”.