Il Trentino è, per definizione, una delle regioni vinicole italiane più eccellenti d’Italia e i vigneti rappresentano in talune zone praticamente una monocultura. Soltanto il melo  fa competizione alla vite. Quindi, tanto spazio per le birre artigianali con forte caratterizzazione locale non ce n’è mai stato. E, anzi, le produzioni tentate negli anni passati pagavano lo scotto di una lontananza dalla cultura brassicola che si traduceva in prodotti talvolta imprecisi; improvvisati; insomma, non eccezionali.

Ma  cosa poteva portare ad una produzione di qualità, finalmente competitiva col vino trentino? Forse proprio  la cultura del melo e delle sue tante lavorazioni oltre alla raccolta di ottime mele. Ad esempio, la produzione di sidro e di succhi non fermentati. L’esempio perfetto è racchiuso in Melchiori, in Val di Non, un balcone sulla piana di Caldaro dove Lucia Maria Melchiori ha sviluppato dal 1994 un’azienda di famiglia che, dalle mele, si è allargata alle spremute, ai sidri, agli aceti, alla ristorazione e, infine, alle birre artigianali.

Dalla produzione del sidro è arrivato il savoir-faire nella fermentazione e la scelta di materie prime il più possibile locali (l’acqua di montagna in primis e poi lieviti e luppolo trentini).  L’attenzione all’ambiente è sostenuta dall’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili – biogas e fotovoltaico -e la conversione alla produzione biologica.

Due le birre testate, acquisite alla Famiglia Trentina, la Coop in area atesina, di Cavalese: la Bianca Trentina (4,7°) e la Bionda trentina (4,9°) entrambe non filtrate. Nei due campioni, la pulizia al naso è il primo dato da registrare. Nessuna nota a disturbare l’olfatto che è contrassegnato da profumi netti, fragranti, molto freschi, invitanti. Ottima la consistenza della schiuma nel bicchiere.

Il palato conferma l’ottima impressione olfattiva: più tradizionale la Bionda, di più spiccata identità (frutto dell’utilizzo di luppolo, semi di coriandolo, fiori di sambuco, radice di tarassaco e  buccia d’arancia)  la Bianca dove emergono con decisione le note aggrumate ed erbacee. Perfetto l’equilibrio delle note amare.

Entrambe molto rinfrescanti, di grande piacevolezza al palato, danno il meglio di sé con la cucina tradizionale, trentina se potete o se fate incetta di prodotti del territorio ogni volta che oltrepassate i “murazzi”.

Una bella sorpresa; la conferma di una crescita complessiva della gastronomia atesina che va oltre i luoghi comuni e le monocolture.