(di Bernardo Pasquali). Matteo Grandi è un predestinato alla cucina e, sin dalle su prime apparizioni in territorio veronese, tra le terre napoleoniche di Arcole, con il suo Degusto, aveva fatto breccia in chi ne capiva di cucina. La sua è una storia che parte da lontano, tra le cucine dello Park Hyatt di Shangai, a soli 18 anni, dove si nutre della maestria in cucina dello chef Jean Claude Fugier, un borgognone di Lyon, cresciuto a sua volta nelle brigate di due mostri sacri francesi: Alain Ducasse e Paul Bocuse.

Il trampolino di lancio è stata la televisione con la vittoria della prima edizione di Hell’s Kitchen con Carlo Cracco. Successivamente il trasferimento nel centro di San Bonifacio dove inizia a performare con la sua cucina creativa, dove interpreta la materia prima italiana con la tecnica francese e contaminazioni intriganti di cucina orientale. Insomma, la sua vita nel piatto. Lì arriva la prima Stella sulla guida Michelin. E’ il black out della pandemia che lo fa incontrare con degli imprenditori vicentini con i quali decide di gestire il ristorante El Coq lasciato da Lorenzo Cogo.

Dalla Basilica a Vicenza alla Locanda il ritorno alla cucina veronese d’antan

Matteo Grandi ha conquistato Vicenza e ha conservato con no calanche la sua Stella della Guida Rossa. In una location affascinante, in una piazza palladiana dalla bellezza imbarazzante. Aveva lasciato San Bonifacio e, lo dico senza patemi d’animo, aveva creato un vuoto mai riempito dignitosamente. mancava il fatto di passare davanti alle vetrate del suo locale e non trovare più con lo sguardo quel giovanotto possente, così gentile sui piatti.

Finalmente da qualche tempo Matteo Grandi è tornato a riempire quegli spazi della cucina del suo ex Degusto, ed è tornato da gladiatore nell’arena della cucina veronese più autentica che mai. Una cucina sostanziale, territoriale, comunale oserei dire, con la riprese degli gnocchi di malga della Lessinia con la fioreta e la ricotta affumicata, i classici bigoli in sardèla che nella case di tante famiglie veronesi erano quelli con le alici dei venerdì di quaresima, i tortellini in brodo coi fegatini, l’intramontabile insalata russa e, infine, il piatto sacro della cucina scaligera: il carrello dei bolliti e degli arrosti con salsa verde, cren e pearà. Ah, come amuse bouche, una bella fetta di soppressa casalinga stagionata artigianale.

Matteo Grandi nella versione pop-rurale ci piace molto

La scelta di far ripartire il suo locale di San Bonifacio con una cucina così rustica che affonda le radici tra le pianure veronesi delle sue origini è semplicemente geniale. Lo chef veronese ci fa conoscere Matteo prima che diventasse Matteo Grandi. Le ricette da cui è partita la sua passione per la cucina, quella primordiale, quella dove ha annusato e ha creato le basi fondamentali del suo successo. A coordinare la cucina quando Matteo non c’è, si trova un ottimo interprete, il sous chef Alberto Sgaggero, e la sala è condotta con grande professionalità sia per quel che riguarda il servizio, sia per quanto riguarda la sommellerie.