(di Bernardo Pasquali). Diam sta per Diamante® e rappresenta da alcuni anni la nuova frontiera del tappo tecnico. Uno dei problemi sempre più destabilizzanti la produzione del vino è l’inaffidabilità di un certo mercato del tappo di sughero, quello meno pregiato. La percentuale di problematiche di odori e instabilità che quest’ultimi possono causare sulla qualità dei vini si sta moltiplicando, tanto da portare numerosi imbottigliatori a riconoscerne l’inaffidabilità. Le percentuali di difetti in bottiglia ottenute da tappi in sughero da 35 – 50 centesimi sono oltre il 5% e quindi particolarmente pericolose per i bilanci delle aziende. Per abbassare questa soglia ci si deve spostare su tappi di sughero da almeno 1,30 – 1,50€ ciascuno. Ma è un costo che per alcune tipologie di vino non è sostenibile.

La CO2 garantita supera gli sbarramenti ideologici

La tecnica che utilizza la produzione dei tappi tecnici della Diam sfrutta le proprietà della CO2 supercritica per estrarre i componenti volatili del sughero e quindi eliminare le molecole che possono dare un sapore al vino, in particolare il rischio di “gusto di tappo. La tecnologia produttiva li rende tali che non si distinguono facilmente dai tappi di sughero tradizionale ad una prima vista e questo ha aiutato anche i più scettici a provarli fino, successivamente, a sostituirli al sughero classico. In Italia molti produttori e imbottigliatori negli ultimi anni hanno fatto “outing” dichiarando che la scelta è stata dettata da un fattore di standardizzazione della qualità e, soprattutto, mantenimento dell’integrità del vino.

Cosa abbiamo perso? Un pò di poesia e di naturalezza forse. Ma certo ne ha conquistato l’affidabilità e l’idoneità del vino alla stabilità in bottiglia per lunghi anni. Questa diatriba sta penetrando sempre più la comunità dei vignaioli della Borgogna che, al mondo, probabilmente, sono riconosciuti come i più integralisti e quelli più radicati alle antiche scelte che affondano nella cultura enologica primordiale del Basso Medioevo. Il recupero della vigna dopo le grandi invasioni barbariche infatti riparte proprio dai monaci Cistercensi di Citeaux, Cluny nel cuore della Borgogna.

Oltre la storia, cresce il dibattito in Borgogna

Premettiamo che la Borgogna vinicola parte dalle regioni più a sud di Macon del Beaujolais e arriva fino a lambire con la Côte de Nuits la città di Dijon. In questo lungo viaggio storia, tradizione, vitigni e stili si intercambiano in modo efficace. Più a sud la zona della Gamay dove si sta imponendo una nouvelle vague di giovani vignerons con un approccio più dinamico al mondo dei mercati e, salendo sempre più a Nord, un approccio decisamente più austero e tradizionale che mantiene le sue posizioni di mercato, anzi le consolida e le migliora ogni anno. Diam nel primo caso è riuscito a penetrare più facilmente mentre nel secondo caso il dibattito è molto significativo.

Ne parla anche Bourgogne Aujourd’hui, il bimestrale di riferimento della comunità vitivinicola della Borgogna. In uno speciale dedicato proprio a questo tema molto dibattuto si mettono a confronto le due tesi preminenti che stanno dividendo i produttori. Da una parte Olivier Lamy, del Domaine Hubert Lamy , vignerons de garde con una proprietà di 18 ettari ripartiti su 15 denominazioni, dall’altra Bruno Lorenzon, vigneron dell’omonimo Domaine che si trova a Mercurey, nella Côte Chalonnaise.

A sinistra Olivier Lamy e a destra Bruno Lorenzon

Diam. Adattare il vino al tappo o accettare le differenze?

Se nel panorama produttivo della Borgogna Diam è riuscito a penetrare anche i più scettici nell’imbottigliamento di numerose denominazioni a bacca bianca Chardonnay, l’infiltrazione nel Sancta Sanctorum del Pinot Noir è molto più difficile. Olivier Lamy afferma infatti che tutta la sua produzione di vini bianchi è fatta con Diam (Saint – Aubin, Chassagne-Montrachet e Puligny-Montrachet) mentre invece sta testando su un 20% della produzione dei vini rossi il comportamento del prodotto nel tempo. Olivier dice che bisognerà “adattare il vino al suo tappo che lo accompagna nel suo invecchiamento. Diam concentra la solforosa e dona al vino un carattere riducente. Ciò mi ha consentito di ridurre la mia dose di Solforosa aggiunta. Ciò è un bene e ha permesso la stabilità dei vini longevi e e la loro integrità nei processi logistici”.

Bruno Lorenzon, al contrario, non ci sta e afferma che accettare le differenze che il tappo può apportare alle bottiglie nel tempo è lo spirito del vignaiolo della Borgogna. “Per noi in Borgogna anche l’estetica del tappo è fondamentale”. Ma le parole che caratterizzano un pò tutti i vignaioli della Borgogna che non credono al Diam sono quelle che Lorenzon definisce in questa frase: “ Il vino è un prodotto vivo che non deve essere soffocato e bloccato nel tempo. Su una trentina di bottiglie è vero che ne ho trovate alcune differenti ma, ognuna di loro, esprime la storia che ha caratterizzato fino ad oggi la degustazione di un vino e del suo territorio”.