(di Elisabetta Tosi) Il tema non è nuovo, se ne parla ormai da mesi e anche noi ce ne siamo già occupati su queste pagine: parliamo dei rincari di tante materie prime nel mondo del vino che colpiscono indifferentemente tutte le aziende, a prescindere dalle dimensioni. Situazioni che però, almeno entro certi limiti, potevano essere previste e alle quali si sarebbe potuto porre rimedio per tempo, come spiega l’avv. Roberto Luzi Crivellini, esperto di questi temi e partner dello studio Macchi di Cellere Gangemi, attivo nella consulenza alle imprese del settore del commercio internazionale del vino.

“Il primo collo di bottiglia si è venuto a creare con il primo lockdown per Covid: settori come l’Ho.Re.Ca si sono fermati per mesi, e così la loro domanda – spiega – Quando poi si è riaperto, la domanda sui mercati è esplosa. E questo per molti distributori ha comportato delle difficoltà di approvvigionamento, perchè la ripresa della domanda di materiali è stata così massiccia da mettere in tensione la catena di fornitura: e una volta terminate le scorte di prodotti, ecco la rottura di stock. Così, chi non si era approvvigionato per tempo di bottiglie,  cartoni, etichette, eccetera, una volta usciti dalla prima ondata pandemica non solo ha fatto fatica a reperirle, ma si è anche visto proporre prezzi più alti”.

Ovvio: se c’è tanta domanda e poca offerta, i prezzi salgono. Prevedibile, no?

“No, la prima ondata di Covid non si poteva prevedere. Ma una volta passata, le autorità sanitarie ci avevano avvertito che questo virus sarebbe diventato ciclico e avremmo dovuto imparare a conviverci. La seconda e la terza ondata perciò non erano imprevedibili. Però molti, e non solo nel settore vinicolo, da quel momento in poi  hanno vissuto alla giornata, e a distanza di diversi mesi dal primo lockdown, nel 2021, c’era chi continuava a dire ‘chi s’immaginava che sarebbero arrivate anche una seconda e una terza ondata’. In realtà tutti potevamo immaginarcelo, e organizzarci di conseguenza”.

E invece, a quanto pare, in molti non hanno fatto tesoro di questa esperienza.

Un elemento che incide molto è il fatto che nel settore vinicolo anche  aziende molto grandi, che fatturano decine di milioni di euro, tendono a operare in modo poco strutturato. C’è stata poca programmazione, mentre i rapporti con fornitori strategici come quelli che danno bottiglie, tappi, cartoni o etichette vanno programmati a medio termine, indicando non solo il prezzo dei prodotti, ma anche i volumi garantiti di fornitura. Questa mancanza di programmazione e di accordi incide non solo sui costi, ma anche sui tempi di consegna, che si allungano”.

Cosa possono fare le aziende per evitare di trovarsi in queste situazioni?

Devono fare un contratto quadro di fornitura. Cosa che fanno in pochi, perchè la maggior parte di loro improvvisa, o prova ad usare con il fornitore il proprio potere contrattuale”.

In cosa consiste questo tipo di contratto?

Si tratta di fare con il proprio fornitore strategico una fotografia della situazione attuale:   qual’è il prezzo delle materie prime che incide di più sul prodotto che mi vendi? Il gas, l’energia elettrica, qualche materiale? Individuiamo qual’è e facciamo una fotografia del prezzo concordato oggi. Stabiliamo che il mio programma d’acquisto nei prossimi sei mesi sarà di x pezzi (o tonnellate), ad un certo prezzo. Il fornitore mi garantisce la consegna del prodotto e conveniamo che quel prezzo potrà essere modificato, se certi indici si alzeranno o si abbasseranno. In questo modo c’è un range di fluttuazione ancorato ai prezzi di certe materie prime, quindi a indici pubblici di certe borse. Stabiliamo che se la variazione è  in più o in meno del 10% la assorbiamo, e quindi ci accolliamo il rischio, ma se va oltre, la parte interessata può comunicare all’altra la richiesta di revisione del prezzo, che dovrà essere concordata insieme. Diversamente, si scioglie il contratto. In questo modo un’azienda può assicurarsi la fornitura dei prodotti che le servono, senza il timore di ritrovarsi rincari imprevisti da un mese all’altro”.

Sembrerebbe la soluzione ideale per le aziende, perchè allora dice che questo tipo di contratto è poco utilizzato?

“Le aziende obiettano che i fornitori non ci starebbero. E perchè non dovrebbero starci, dico io? Se il contratto è chiaro ed è equilibrato, ed è una fotografia della situazione attuale, perché dovrebbero sottrarsi a questo esercizio di darsi delle regole?  Secondo me invece questa è una cosa che si può fare, non solo come singole aziende, ma anche come associazioni: dotarsi di accordi di filiera che contrattualizzano queste dinamiche”.

Lei suggerisce di accordarsi tra aziende per fare acquisti collettivi in modo da avere un potere contrattuale maggiore…? E’ un problema sempre attuale, e quasi sempre irrisolto.

“E’ comunque bene che io cantina, a prescindere dalla mia dimensione, faccia lo sforzo di  darmi dei processi di gestione fornitori-cliente che oggi sono totalmente assenti. Certo, fare rete tra imprese per andare a negoziare condizioni migliori sarebbe la via maestra, pur con tutte le difficoltà che conosciamo, ma almeno in casa propria un po’ di ordine nei processi e nei contratti si può fare”.

Per concludere: cosa fare e non fare subito, adesso, per salvare la propria marginalità.

“Fare: accordi quadro di acquisto con i propri fornitori. Fotografare la situazione odierna, e dire: nei prossimi mesi avrò bisogno di queste forniture, facciamo un accordo in cui stabiliamo quando mi darai i prodotti, a che prezzi, e se quelli cambiano, quali sono gli elementi per rivederli.

Non fare: continuare a operare come oggi, in base alle reazioni di pancia dei mercati, più o meno giustificate, cercando poi di ribaltarle a valle sui clienti finali (se si ha la forza per farlo), o di inglobarsele (se non si ha). Questo è un arrendersi alle forze del mercato, un non-pianificare. Ma almeno un tentativo di pianificazione va fatto, perchè gli strumenti ci sono e quello principale l’abbiamo spiegato. L’errore che si fa è confonderlo con le condizioni generali del fornitore, che sono sempre sbilanciate a suo favore. Invece bisogna lavorare per mettersi d’accordo per i prossimi mesi su come saranno i rapporti,  soprattutto sul tema della variazione dei prezzi e sulla garanzia dei volumi minimi di consegna. In Italia ci sono aziende virtuose, ma in questo momento storico anche players molto strutturati fanno fatica a gestire la situazione e  si arrendono senza nemmeno provare a discutere. Ed è un peccato. Un tentativo va fatto sempre, perché siamo tutti nella stessa barca. Se non ci si prova nemmeno, si può solo continuare a sperare per il meglio”.