Conegliano-Valdobbiadene ha ancora un patrimonio enorme da valorizzare. Si potrebbe dire che il boom del Prosecco ha sì allargato d’un colpo il mercato, ma ha anche nascosto nella domanda sempre crescente  le differenze ed i valori in campo. L’ondata dal mercato ha cancellato nella sua irruenza i particolari, con la sola eccezione della zona del Cartizze che, grazie ai suoi limitati numeri, è stata capace di salvarsi e distinguersi. Così non è accaduto con le Rive, ancora sconosciute ai più.  Per non parlare della differenza fra DOC e DOCG che ancora trova – dopo tutto questo tempo – consumatori del tutto impreparati…

Invece, le colline del Prosecco hanno tantissimo da raccontare. Un esempio, bello, arriva dalla Cantina Ruggeri (la sua etichetta Giustino B. resta una delle icone di tutta la denominazione) che controlla il 12% della produzione del Cartizze e che poggia su 180 ettari a vigneto e 120 conferitori nel “triangolo d’oro” compreso fra  Santo Stefano, San Pietro di Barbozza e Saccol.

Ruggeri dal 2017 fa parte del gruppo tedesco Rotkaeppchen-Mumm: un colosso da oltre un miliardo di fatturato (il doppio della più grande realtà italiana del vino) con una storia che risale al 1507 e che ha vissuto sulla propria pelle tutte le vicende tragiche del 900, dalla prima guerra mondiale (con la spoliazione delle maison di Champagne di proprietà di imprenditori tedeschi) alla drammatica divisione della Germania nel 1945, alla nazionalizzazione ai tempi della DDR sino all’managementi-buy-out che nel 1993 ha ricostruito una proprietà privata dando il via ad una serie di acquisizioni nel settore della spumantistica e  vini fermi, degli spirits e commerciali che l’ha portata ai risultati attuali: poco meno del 54% del mercato tedesco delle bollicine, una produzione di quasi 280 milioni di bottiglie. La sua “testarossa” (rotkaeppchen) è il primo spumante in Germania per vendite.

Con questa realtà alle spalle, Ruggeri ha potuto proseguire nella strada della sostenibilità e della valorizzazione di quei fattori che possono rendere unico un Prosecco: ad esempio, la salvaguardia e l’utilizzo gentile delle vecchie viti – ben 2mila500 di età vicino al secolo nei suoi vigneti! – che ancora si trovano sulle colline trevigiane. Affidate alle sapienti forbici di Simonit&Sirch, le vecchie viti sono in grado di produrre ancora grappoli di assoluta qualità. Sono in grado di reggere meglio delle viti più giovani alle bizzarrie del tempo ed agli attacchi degli agenti naturali, dei veri e propri highlander semi-immortali al cui confronto impallidiscono gli impianti più recenti. Potature curate, non utilizzo della chimica di sintesi (Ruggeri è nel protocollo nazionale di qualità sostenibile), salvaguardia e valorizzazione degli autoctoni che storicamente erano nei vigneti ad integrazione della Glera come Verdisio, Bianchetta e Perera che, non a caso, rientrano nel blend di questo Brut. Il risultato è un Prosecco che ha grandi potenzialità di invecchiamento (a testimonianza che banalizzare le bollicine della Marca è un errore) e che stacca completamente dal “solito” profilo. I profumi nel bicchiere sono marcati, puliti, netti: ligustro più che acacia, mele verdi, fieno appena tagliato con una nota più piccante. Il palato è molto virile: coerente con l’olfatto non cede alla dolcezza stucchevole ma ripropone note molto dirette, verticali: torna la frutta verde, non compiutamente matura, la pesca bianca. La spalla acida garantisce una freschezza invidiabile e una invitante godibilità. Appaga anche i palati più snob con la sua ricchezza di profumi e sapori.  Chi cerca un “prosecchino” è invitato a rivolgersi altrove. Questo è un Prosecco con la P maiuscola, un ottimo esempio di cosa ancora cela il “giacimento” del Conegliano-Valdobbiadene.