Quali sono gli effetti del lockdown, legato al Coronavirus, sul consumo di vino nel Regno Unito? È questa la domanda a cui Nomisma ha voluto rispondere attraverso l’indagine condotta da Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato vinicolo, svolta su un campione di 1.000 consumatori di vino della Gran Bretagna, residenti in particolare a Londra e nelle grandi città del Regno Unito con oltre 500.000 abitanti. Le risposte a cui Nomisma è giunta, grazie a questa survey, si aggiungono alle considerazioni che emergono di fronte al fantasma del “no deal”, ovvero la possibilità che il Regno Unito esca dall’Unione Europea senza accordi.

Con un valore superiore ai 3,4 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il nostro quarto mercato di export di prodotti agroalimentari, di cui 770 milioni di euro legati al vino. È quindi interessante capire come il lockdown, determinato dalla pandemia da Covid-19, abbia influito sulla percezione e sui comportamenti di consumo dei cittadini britannici. L’indagine di Nomisma Wine Monitor, svolta tra il 15 e il 25 aprile, si è focalizzata proprio su 4 obiettivi:

1. individuare le abitudini di consumo di vino da parte dei britannici prima, durante e dopo il lockdown;

2. rilevare i cambiamenti nelle occasioni di consumo di vino, ad esempio durante i pasti o l’aperitivo;

3. comprendere il ruolo dell’online durante il lockdown;

4. identificare i cambiamenti nel consumo di vino italiano.

La ricerca ha evidenziato che, nel periodo di lockdown, 3 consumatori britannici su 10 hanno dichiarato di aver consumato meno vino italiano rispetto al periodo pre-quarantena, contro un 53% che non ha modificato le proprie preferenze di acquisto. Tra le principali ragioni di questa riduzione c’è la chiusura dei ristoranti e dei pub/wine bar. A questo proposito, ricordiamo che in Gran Bretagna il fuori casa pesa per il 45% del valore totale dei consumi alimentari (in Italia, in confronto, l’incidenza è pari al 35%). Le altre motivazioni sono l’incremento dei consumi a livello quotidiano e non più occasionale, la riduzione della frequenza di acquisto nei negozi e presso la Grande Distribuzione Organizzata, al fine di evitare troppi contatti con altre persone, e i vincoli di bilancio familiare sempre più stringenti. Questi sono i principali elementi alla base del riposizionamento dei consumi verso il basso, tendenza che ha interessato anche l’Italia e gli Stati Uniti.

“Uno dei principali fattori di scelta nel consumo di vino che resta, ed anzi acquisisce ancora più importanza per il consumatore britannico durante il lockdown è proprio il prezzo, accanto alla reperibilità di informazioni sul web, così come emerso dalla nostra indagine. E in effetti, un consumatore inglese su due ha dichiarato di aver acquistato vino on-line durante il periodo di quarantena”, evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.

Con la chiusura del canale Horeca, infatti, lo sviluppo dell’e-commerce di vino e prodotti alimentari ha conosciuto ritmi di crescita vertiginosi in tutti i mercati colpiti dall’epidemia da Covid-19. Resta poi da capire come questi trend si consolideranno in futuro.

Quali sono, invece, le prospettive per il post-lockdown? Da questo punto di vista, i britannici non sembrano troppo propensi a festeggiare quando il periodo di emergenza finirà. “Solamente il 18% dei consumatori si dice pronto a spendere di più per il vino una volta che riapriranno pub e ristoranti – aggiunge, infatti, Pantini – contro un 17% che afferma il contrario e un altro 28% che, addirittura, berrà meno vino perché uscirà di casa con meno frequenza rispetto a quanto faceva prima dell’epidemia”.

A quanto pare, dunque, la multicanalità diventerà una strada obbligata nelle strategie commerciali dei produttori di made in Italy alimentare, vista l’eredità che sembra lasciarci il Coronavirus in tema di comportamenti di acquisto di wine&food. Probabilmente, inoltre, non sarà nemmeno l’unica sfida. Infatti, lo spettro del “no deal”, che si aggira sempre più minaccioso sui negoziati della Brexit. Ricordiamo, infatti, che il Regno Unito, dal 1° febbraio scorso, è diventato uno “Stato Terzo” rispetto all’Unione Europea, con la previsione di un regime transitorio fino al 31 dicembre 2020, durante il quale vige ancora l’unione doganale; inoltre, si stanno negoziando le condizioni per un futuro partenariato, a partire dal 2021, ma i primi segnali che arrivano dai tavoli di negoziazione non sembrano andare nella direzione di un raggiungimento dell’accordo.

“Quasi si percepisce la sensazione del governo britannico di voler ripartire da zero, sfruttando gli impatti derivanti dalla pandemia per riprogrammare l’intera politica economica e commerciale del Paese, con tutti i rischi però connessi”, dichiara Paolo De Castro, Membro del UK Monitoring group del Parlamento Europeo e componente del Comitato Scientifico di Nomisma.

I rischi derivanti da un possibile “no deal”, sicuramente, riguardano prima di tutto il Regno Unito, dato che l’autosufficienza alimentare del Paese è appena pari al 50%, ma interessano anche le imprese alimentari italiane, alla luce della rilevanza che la Gran Bretagna detiene per il nostro export. Come risaputo, gli inglesi adorano lo spumante, tanto che, nel giro di appena cinque anni, hanno incrementato le importazioni di “bollicine” italiane – in primis di Prosecco – da 59 a 96 milioni di litri (circa 128 milioni di bottiglie). Ma il vino non è l’unico prodotto del made in Italy a deliziare il palato degli inglesi. Il Regno Unito, infatti, rappresenta il secondo mercato di destinazione delle nostre conserve di pomodoro e il quarto per quanto concerne pasta e formaggi. Alla luce della rilevanza di tale mercato per il nostro food&beverage, tra epidemia di coronavirus e rischio “no deal” in tema Brexit, non possiamo certo dormire sonni tranquilli.