La dichiarazione più bella è quella del Consorzio Prosecco DOC: “Il presidente del Consorzio di tutela del Prosecco DOC, Stefano Zanette, fa sapere che al momento non intende rilasciare alcuna dichiarazione a commento delle più recenti vicende relative al Prosecco.  Eventuali dichiarazioni da parte dei membri del Consiglio di Amministrazione saranno da ritenersi opinioni individuali”. Eppure, sarebbe proprio questo il momento per far sapere cosa esattamente vuole il Prosecco di pianura dalla revisione del nuovo Codice di autoregolamentazione tra i tre  Consorzi (Asolo DOCG, Conegliano Valdobbiadene Superiore DOCG e Prosecco DOC) che gestiscono il più grande successo planetario del vino degli ultimi trent’anni. Un “giocattolo” da più di 3 miliardi € di fatturato con oltre 600 milioni di bottiglie vendute nel mondo.

La polemica è esplosa grazie ad un articolo de Il Gazzettino di Venezia che riporta come sarà il nuovo Codice di autoregolamentazione che i tre Consorzi del Prosecco – i due Docg e il Doc – dovrebbero firmare entro il mese. Il provvedimento arriva da un funzionario ministeriale su richiesta del Consorzio di tutela della Doc Prosecco, le cosiddette bollicine di pianura. Tra le novità, quella che impone alla DOCG – cioè le bollicine di collina – la cancellazione del termine Superiore e il divieto di comparare i diversi tipi di Prosecco. In pratica non dovrebbe più passare l’idea che la Docg sia migliore della Doc.  Che la collina e la pianura siano la stessa cosa. Che la piramide qualitativa semplicemente non esista.

 Ma allora, follia per follia,  perché – dato che il Prosecco DOC occupa tutto il  Friuli VG e il Veneto sino a Vicenza – l’area produttiva di Verona è rimasta esclusa da questa gigantesca cornucopia?

Che il Prosecco non sia mai stato capace di valorizzare le proprie specificità è un dato di fatto. Basta vedere come poco siano esaltate le Rive, quelle 43 denominazioni comunali legate a particolarissimi vigneti, dove è obbligatorio ed esclusivo il lavoro manuale: in tutti questi anni mai una volta che queste eccellenze siano state portate all’attenzione del pubblico italiano ed internazionale.

E come non ricordare le difficoltà dell’Asolo DOCG di far valere la propria specialità, frutto di un territorio unico, o il silenzio nel quale è stato relegato il Cartizze che della piramide qualitativa è il vertice. Cosa racconteremo adesso all’Unesco che ha inserito le colline del Prosecco nel patrimonio del mondo? e all’Unione europea sulla specificità e l’esclusività del brand Prosecco?

L’assurdo è che il Prosecco DOC vuol far fare al Prosecco la strada inversa che sta percorrendo un vino a lui molto simile (per prezzo e mercato) il Cava spagnolo che da diversi anni a questa parte sta crescendo (ed uscendo dal posizionamento allo scaffale della GDO di Freixenet) proprio lavorando sulle specificità dei singoli territori di una denominazione vasta.

Quindi, la domanda è una sola: cui prodest? Chi ci guadagna dall’omologazione dei Prosecco? Siamo sicuri che una volta cancellata la piramide qualitativa tutti cresceranno di prezzo? Oppure sarà il contrario: crollerà il prezzo di Asolo e Conegliano Valdobbiadene?

Una volta depotenziato il valore delle tre denominazioni italiane chi fermerà la riconcorsa di croati, brasiliani ed australiani alla produzione di vini spumante da uve glera che, prima o poi, UE o  non UE, finiranno per chiamarsi inevitabilmente prosecco? Il Prosecco rischia di venir divorato dalle divisioni al proprio interno, posizioni molto autoreferenziali che non sembrano tenere in alcun conto le aspettative dei consumatori. Cosa potremo inventarci per raccontare un vino divenuto una commodity?

E’ meglio che i tre Consorzi e i due Governatori si diano una mossa per far uscire il mondo del Prosecco DOCG e DOC e tutto il vino italiano da questo imbarazzo. Se errore è stato, lo si cancelli; se manovra è stata, la si cancelli. Tutto molto semplice.