(di Sara Falchetto)

Quando si parla della cantina Costaripa a Moniga del Garda, non si può non parlare del suo proprietario, Mattia Vezzola, uno dei nomi più noti e rispettati nel mondo dell’enologia italiana. Ma non è solo questo: è una persona capace di trasmettere passione, competenza e amore per ciò che fa e per le persone che lavorano con lui. Guidato dalla “vocazionalità” del territorio, ha scelto di dedicarsi anche alla produzione di rosé con l’obiettivo di distaccarlo dalla visione del vino effimero e di elevarlo a una tipologia nobile e universale. Un vino che, più di ogni altro, incarna perfettamente la sua filosofia e il profondo rispetto per la terra.

E proprio con questa consapevolezza, è lui stesso a raccontarci la sua visione: “Il lavoro della mia generazione è stato quello di capovolgere l’Italia dal punto di vista qualitativo ma quello che manca oggi – afferma – è trasmetterlo al popolo. Noi italiani tendiamo spesso a demolire ciò che creiamo. Non deve esserci più competizione: stare insieme e collaborare è un vantaggio che porta a risultati eccellenti.”

Per Vezzola, il lusso oggi non è ostentazione o possesso, ma tempo e qualità: stare in compagnia, saper suonare uno strumento, trasmettere una passione. È il lusso di gestire la propria vita con equilibrio e consapevolezza, affermando che “Non bisogna correre per possedere, ma correre per condividere.” Questa filosofia si riflette nel suo modo di fare vino, nella sua instancabile ricerca dell’eccellenza e dell’unicità: “La ricerca dell’unicità mi appaga, ed è ciò che ci differenzia nel mondo. “

Secondo Vezzola, la forza di un’azienda sta nel mantenere un’identità. Ma come si fa, senza esperienza, a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso? La risposta sta nel tempo, nella formazione e nel rispetto delle nuove generazioni, che per lui rappresentano il vero futuro del vino.

“Il futuro è nelle loro mani – afferma – ma devono cambiare tutto per non cambiare niente, come scriveva Giuseppe Tomasi. La tradizione va custodita e, allo stesso tempo, reinterpretata. Solo così può restare fedele a sé stessa, evolvendosi.”

Anche il gesto tecnico, per Vezzola, è una forma di rispetto. Spiega con precisione il processo di produzione del rosé: “Se rompi la buccia si formano particelle leggere che restano in sospensione, e le macromolecole riducono eleganza e finezza. È meglio che l’acino compromesso non venga rotto; se lo è, va trattato con delicatezza. L’acino va prima staccato, poi rotto, ma mai rovinato –aggiunge il rosé, come lo champagne, deve mantenere ogni anno uno stile riconoscibile. L’unico modo naturale per farlo è avere tanti vigneti e vinificarli separatamente. La cantina è l’interprete della materia: ha il compito di rimediare alle imperfezioni che ogni vendemmia porta con sé.”

La degustazione:

La prima parte della degustazione si è svolta all’interno della cantina, dove abbiamo assaggiato i rosé. Il primo vino in degustazione è stato il RosaMara 2024, un’etichetta iconica caratterizzata dalla sua elegante tonalità e da una firma stilistica riconoscibile e raffinata, un rosé ben lontano dall’idea tradizionale, si presenta con profumi floreali freschi e leggeri, mentre la versione del 2019 esprime una maggiore complessità, profondità e sapidità, qualità che aiutano a “pulire” il palato tra un sorso e l’altro.

A seguire, abbiamo degustato due annate del rosé Molmenti, provenienti dallo stesso vigneto, ma le due annate sono molto diverse: 2011 e 2019. La differenza si avverte già dal colore. Nel 2011, il metodo tradizionale non permetteva ancora il raffreddamento delle uve prima della pressatura, e questo comportava una maggiore estrazione di colore dalle bucce. Nel 2019, grazie alla tecnologia, è stato possibile raffreddare le uve, permettendo un maggiore controllo sul colore e mantenendolo più chiaro e delicato. L’obiettivo è che, tra qualche anno, il Molmenti 2019 possa offrire profumi e sapori paragonabili a quelli del 2011, ma con una veste cromatica diversa, offrendo così al consumatore una scelta stilistica all’interno dello stesso vino.

Spostandoci nella sala degustazione, con vista sui vigneti, sono stati presentati i Metodo Classico, iniziando con il Créant, ottenuto da 100% Chardonnay, che ha subito conquistato per il suo perlage finissimo.  Il Brut Rosé, un blend di 80% Chardonnay e 20% Pinot Nero. Di grande eleganza visiva, si presenta con una tonalità cipria che cattura subito lo sguardo. Il Grande Annata Brut 2018, ancora una volta un 100% Chardonnay, che si distingue per la sua eleganza e per l’ottima persistenza aromatica. Infine il Grande Annata Rosé 2018, composto per l’80% da Chardonnay e per il 20% da Pinot Nero. Al naso, si apre con profumi intensi e raffinati di frutta rossa matura e fiori bianchi, offrendo un bouquet complesso, armonico e perfettamente bilanciato. Come ultimo vino, su richiesta, abbiamo avuto il piacere di assaggiare il Maim 2019, un rosso che colpisce per i suoi profumi intensi di pepe nero e viola. I tannini, provenienti da un clima fresco, risultano flessibili ma corti, offrendo al palato una piacevole sensazione di velluto.