(di Bernardo Pasquali). Dopo Costantino Charrere e Matilde Poggi, alla presidenza della Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti arriva un trentino doc. Lorenzo Cesconi, è vignaiolo sulla valle dei Laghi e figlio di un territorio antico legato alla Nosiola. Il suo arrivo nel Consiglio direttivo della FIVI risale a nove anni fa e negli ultimi anni è stato Vicepresidente della reggenza Poggi. “Dopo 14 anni di vita la nostra Associazione è molto più matura e questo grazie al grande lavoro svolto dai miei predecessori e, negli ultimi anni, soprattutto da Matilde Poggi, con la quale FIVI è oggi riconosciuta non solo all’interno del mondo del vino ma anche a livello politico e istituzionale”.

Come trova la sua FIVI oggi Presidente?

“La vedo matura ma non vecchia e la vedo soprattutto con grandi margini di crescita e consolidamento. Doppo l’ultimo mandato ha iniziato a strutturarsi al suo interno e ha attivato collaborazioni che stanno già mostrando i loro frutti. Ci sono solide fondamenta. Serve ora andare avanti su quel percorso e dare ancora più forza e valore agli associati. In Italia presumo che di vignaioli con i requisiti ad entrare in FIVI ce ne siamo almeno quattro – cinquemila, oggi siamo solo 1500 associati per cui dobbiamo crescere ancora molto”.

Perchè un’azienda dovrebbe scegliere la FIVI?

“FIVI, sin dal suo inizio nel 2008, è nata perchè c’era la necessità di colmare una grave lacuna per una categoria particolare: il vignaiolo. Noi siamo rappresentati dai sindacati agricoli ma la nostra identità ha diverse sfaccettature. Il vignaiolo deve farsi carico di problematiche che partono dalla gestione del territorio, le pratiche agronomiche, colturali, produttive di trasformazione fino alla commercializzazione del prodotto finito. Sono molteplici criticità che non possono essere confinate in un ambito solamente agricolo ma, anche sociale, economico e commerciale, sia a livello interno che internazionale. Questo è il motivo principale per cui siamo cresciuti così tanto negli ultimi anni!”.

E’ cresciuta molto anche la vostra visibilità verso il consumatore…

“Non nascondo che, ciò che ha reso FIVI, più evidente agli occhi dei consumatori e degli operatori è stato sicuramente il mercato di Piacenza. Non è l’attività principale della nostra Associazione ma alla fine si è dimostrato strategico e fondamentale per il bisogno divulgativo delle nostre istanze; un momento importante per i nostri associati per consolidare la base associativa e dare l’opportunità di andare a contatto diretto con operatori e consumatore finale”.

Piacenza rimarrà anche in futuro la sede della vostra fiera?

“Piacenza è cresciuta molto perchè è sempre più forte l’identità dei vignaioli. Inoltre è così bella la semplicità con cui viene organizzata. E’ questa la forza principale di questa manifestazione. La nostra volontà è di farla crescere ulteriormente ma bisogna trovare uno spazio che sia adeguato a contenere anche tutti i nuovi associati e chi finora non è riuscito ad entrarci. Abbiamo chiesto a Piacenza di trovare una soluzione logistica che migliori gli spazi attuali e li aumenti per il futuro. La nostra volontà è di rimanere lì: siamo nati a Piacenza e lì vogliamo rimanere!”.

FIVI e Fiera di Piacenza hanno rafforzato la divulgazione del mondo del vino naturale. Cosa ne pensa di questo fenomeno inarrestabile che fa leva sempre più sulle giovani generazioni?

“La FIVI non ha preclusioni di sorta nei confornti di alcuna iniziativa di tipo produttivo che si applica all’interno dei suoi associati. FIVI rappresenta un’entità di produttore che segue in maniera integrale tutto il ciclo e la filiera del vino. Come lo faccia è una scelta sua e indipendente. Abbiamo circa un 50% di associati biologici, o che lavorano in biologico. Non è una questione di metodo ma di sostanza e, quindi, piena libertà da parte dei vignaioli di produrre come meglio ritengono. 

Se posso aggiungere una mia opinione personale , penso che la inarrestabile ascesa dei vini naturali, permetta la creazione di una polarizzazione sempre maggiore tra un approccio più agricolo e tradizionale, legato a valori più antichi, e, uno, più industriale e convenzionale. Si tratta di un fenomeno che serve anche a mitigare una certa standardizzazione del vino e una sua omologazione. Insomma trovo che sia una ventata di novità e diversificazione che fa solo bene al mondo del vino”.

Dopo Nutriscore e Cancer Plane dall’Europa arrivano “venti freddi” sul vino. Qual è la vostra posizione come FIVI?

“FIVI collabora con CEVI a livello europeo (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants) di cui è Presidente da settembre 2021, Matilde Poggi. Le istanze che nascono a Bruxelles, vengono concordate con i vari attori nazionali. L’obiettivo dei vignaioli è quello di ribadire che il vino ha un aspetto culturale  che lo fa esulare dal poterlo considerare una mera bevanda alcolica. Ci sono fattori nutrizionali e culturali per cui il vino, soprattutto nel bacino del mediterraneo, nasce come alimento e sempre in abbinamento con il cibo. Va consumato in maniera sapiente ed è un ingrediente importante della dieta. Un consumo moderato di vino ai pasti è consono ad uno stile di vita sano e longevo. La vera strategia sta nel discriminare il consumo moderato dall’abuso di sostanze alcoliche”.

Sembra che le grandi organizzazioni del vino dei paesi Mediterranei non siano d’accordo con questa applicazione del protocollo Farm to Fork al comparto vitivinicolo. Qual è la vostra posizione come FIVI?

“L’obiettivo Farm to Fork è nobile ma, una riforma, ha bisogno di tempi adeguati, affinchè sia una vera e propria riforma. Non si può imporre un metodo a degli agricoltori, prima che questi maturino mentalmente per approcciarsi ad un metodo innovativo. Bisogna aspettare i tempi delle infrastrutture produttive. L’obiettivo, ripeto, è nobile e va perseguito! Le tempistiche sono un po’ troppo strette. Gli anni passano in fretta. Gli ultimi anni abbiamo affrontato problematiche che tolgono attenzione da questi progetti di più ampio respiro. Per noi come vignaioli, per quanto riguarda il richiamo alla vera vocazione dei territori, è un argomento veramente sentito. Se riusciamo tutti a produrre in maniera più sostenibile, è chiaro che è un servizio che facciamo a noi stessi, alla comunità e ai consumatori”. 

La nuova legge sul Biologico italiano ha dato una spallata alla Biodinamica. Tra i suoi asociati ce ne sono che praticano questo stile di vita agricolo. Cosa ne pensa?

“E’ stata una spallata nella misura in cui si considerano le evidenze scientifiche di un sistema produttivo. Sono a conoscenza di una sperimentazione che sta portando avanti la Fondazione Mach a riguardo, testando un metodo convenzionale, uno biologico e uno biodinamico. Pur non essendoci grandi differenze sembra che qualche elemento distintivo interessante stia nascendo. Parlo sempre di evidenziazioni scientifiche…poi il resto fa parte degli stilli di vita delle persone e probabilmente certi valori non sono confinabili a soli protocolli produttivi. La biodinamica ha un principio biologico per cui io non sarei disponibile a fare distinzioni tra le due. Una si innesta nell’altra. Le due tecniche condividono moltissime pratiche colturali. Non vedo un confine netto tra un metodo e l’altro a dire il vero. E’ un sistema fluido, laddove ogni produttore segue la propria strada, per coltivare in maniera sostenibile. Categorizzare ciò che è biologico, biodinamico o naturale mi è molto difficile”. 

Quanto incide FIVI anche tra i vignaioli del sud Italia?

“FIVI nasce al centro – nord ma, di fatto, il percorso che stiamo portando avanti ci ha visti crescere molto anche al sud. Tant’è che ora abbiamo tre nuovi consiglieri del sud e un vicepresidente campano. C’è molta attenzione e la volontà concreta di bilanciare la FIVI sul territorio. E’ molto importante dare rappresentanza a tutta Italia. Ci sono margini di crescita importanti nel sud Italia e nuove delegazioni che stanno nascendo molto dinamiche”.