(di Carlo Rossi) C’è un luogo in Italia dove la terra parla con la voce antica del tufo e del vento, dove il vino non è solo bevanda ma racconto collettivo, e dove la bellezza del paesaggio si sposa con la forza discreta di chi lo coltiva ogni giorno. È il Sannio, anima segreta della Campania, che si è svelato in tutta la sua eleganza in occasione del varo dell’annata 2024 in anteprima dei vini de La Guardiense, una delle cooperative vinicole più vivaci del Mezzogiorno.

Fondata nel 1960, forse anche sull’onda dell’entusiasmo nazionale suscitato dalle Olimpiadi di Roma — che portarono una ventata di modernità e speranza in tutto il Paese, perfino in questi territori segnati dall’emigrazione — La Guardiense nacque dal sogno coraggioso di 33 viticoltori. Uomini semplici, ma animati da un’idea forte: restare, costruire insieme, trasformare la fatica quotidiana in un progetto condiviso. Oggi la cooperativa conta oltre 1000 conferitori, ed è diventata un punto di riferimento per la viticoltura del Sud Italia.

In oltre sessant’anni di storia ha avuto appena tre presidenti, a testimonianza di una guida stabile e condivisa. Attualmente è diretta dal vulcanico Domizio Pigna, sotto la cui leadership La Guardiense ha vissuto una vera e propria rinascita, simile a quella dell’araba fenice: innovazione tecnologica, valorizzazione dei vitigni autoctoni, ma soprattutto un forte impegno verso la sostenibilità ambientale e la ricerca scientifica.

La cooperativa investe infatti con determinazione in progetti di agricoltura rigenerativa, efficienza energetica, recupero delle risorse idriche e riduzione dell’impatto ambientale. In parallelo, promuove attività di sperimentazione enologica, collabora con università e centri di ricerca, ed è attenta alla formazione continua dei propri soci, per coniugare antichi saperi e nuove tecnologie.

La giornata di presentazione dell’annata si è conclusa con un pranzo di gala d’eccezione, orchestrato da una squadra tutta al femminile: viticoltrici e chef che hanno trasformato il convivio in un atto corale di bellezza, sapere e dedizione. Il Sannio, ancora una volta, ha mostrato la sua anima più profonda: quella che unisce la concretezza della vigna con la grazia della tavola.

A condurre la degustazione è stato il giornalista e critico enogastronomico Luciano Pignataro (autore della foto in apertura), in dialogo con Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi. Cotarella ha voluto sottolineare il valore di questa collaborazione:

“Sono felice di essere parte di questo progetto che dimostra quanto sia sbagliata l’equazione ‘vino di cooperativa uguale vino di bassa qualità’. Tutt’altro: qui si lavora con rigore, passione e visione. Il rapporto tra tecnici e conferitori è fondato sulla fiducia reciproca e su solidi valori familiari.”

Ma a raccontare il Sannio nel modo più diretto sono stati i sette vini bianchi in degustazione, espressione di una terra bianchista per eccellenza, capace di regalare vini longevi, complessi, minerali e sempre riconoscibili.

Senete Falanghina del Sannio DOC 2024

Minerale, di ottima beva, profumatissima di fiori bianchi e con una spalla acida lieve ma decisa. Un vino che dimostra come il tempo possa accrescere finezza e carattere.

Biancolume Falanghina del Sannio DOC 2022

Meno esplosiva al naso rispetto alla 2024, ma più rotonda e vellutata al palato, moderna ed equilibrata.

Senete Falanghina del Sannio DOC 2016

Otto anni sulle spalle e ancora fresca, senza ossidazioni. Dalle note floreali evolve verso sentori di confettura agrumata, con eleganza e profondità.

Colle di Tilio Fiano DOC 2024

Giovane, con profumi vulcanici e vibranti, figlio di un territorio ricco d’acqua e vicino alle celebri terme di Telese.

Colle di Tilio Fiano DOC 2016

Note evolute di burro, pane tostato, brioche, albicocca. Un bianco che invecchia con dignità e fascino.

Pietralata Sannio DOC Greco 2024

Fresco, minerale e agrumato, con decise note di arancia sanguinella. Un bianco diretto, sapido, solare.

Pietralata Sannio DOC Greco 2019

Frutto di un’annata con inverni miti e precipitazioni scarse, vendemmiato tra fine settembre e inizio ottobre. Matura lentamente, offrendo equilibrio e complessità.

Tra i protagonisti silenziosi della giornata anche le splendide etichette della linea Le Janare, ispirate alle figure mitologiche delle streghe beneventane. Raffinate, simboliche, dal forte impatto visivo, meriterebbero senza dubbio più spazio nelle carte dei vini, per rappresentare al meglio un Sannio che sa coniugare identità e contemporaneità.

Con 1,5 milioni di bottiglie tra vini fermi e spumanti, Janare promuove i vitigni autoctoni e la custodia del territorio e si pone l’obiettivo ambizioso di esaltare la qualità delle produzioni vitivinicole legandole alla specificità dei diversi siti di produzione. Le tre linee principali del brand suggellano il legame profondo col territorio. I vini della linea Alfabeto sono frutto della selezione delle migliori uve provenienti da suoli, morfologie e microclimi diversi. Alfabeto preserva le tracce di una lingua antica: l’alfabeto osco-sannita, originatosi intorno al V secolo a.C. dall’alfabeto etrusco e decifrato grazie alla celebre tavoletta di Agnone, oggi conservata al British Museum di Londra accanto alla Stele di Rosetta.

Cru del Sannio prende vita ogni anno da un attento processo di selezione delle migliori uve, poste nei siti di produzione più vocati. Sulle etichette Cru del Sannio sono disegnate sette lune, che simboleggiano le diverse fasi che vanno dal germogliamento fino alla raccolta. Infine la linea Anima Lavica, costituita da vini fermi e spumanti prodotti da vigneti coltivati sugli affioramenti di rocce vulcaniche: l’ignimbrite proveniente dall’esplosione del super-vulcano dei Campi Flegrei di 30mila anni fa, che ha piantato il minerale magmatico nel cuore dell’Appenino campano.