Il settore agroalimentare è apparso da subito al centro dell’emergenza Covid-19. Ismea ha effettuato un report approfondito (Puoi leggerlo qui: https://bit.ly/39qtxup), settore per settore, dalla produzione agli scaffali dei negozi, sull’impatto dell’emergenza in questo primo mese.  Sul fronte dei consumatori c’è stata un’immediata reazione istintiva all’accaparramento di beni alimentari e sul fronte politico la consapevolezza che il buon funzionamento della filiera e la capacità di assicurare l’approvvigionamento alimentare rappresentasse un segnale importante sia dal punto di vista economico che sociale. In effetti, il settore agroalimentare è stato e continua a essere uno di quelli meno investiti dalla tempesta economica di queste settimane confermando ampiamente le sue caratteristiche di anticiclicità.

Già nelle prime settimane dall’inizio della crisi, lo scenario complessivo è mutato in maniera sostanziale in virtù della graduale chiusura dell’Horeca, non solo a livello nazionale ma anche internazionale, bloccando un canale nel quale i prodotti del made in italy agroalimentare hanno un posizionamento medio-alto o alto e che assorbe percentuali rilevanti dei flussi complessivi di export. E’ stata azzerata la forte domanda alimentare dei turisti stranieri in Italia e la somministrazione a domicilio ha compensato soltanto in minima parte il danno del lockout.

Per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio, si sottolinea la sostanziale e progressiva perdita di peso dei mercati rionali, molti dei quali chiusi in assenza di strutture fisse, e la chiusura dei centri commerciali, con la conseguente perdita di peso del canale iper, spesso prevalente in questi contesti.

Sul fronte dei consumi finali, le passate settimane si sono rivelate estremamente dinamiche, non solo per lo scontato incremento degli acquisti ma anche per la mutevolezza dei comportamenti anche in un così breve periodo. L’esame puntuale di quattro settimane di atti d’acquisto rende comunque possibile individuare alcuni grandi trend che sono riassumibili come segue:

 – Tendenza all’approvvigionamento di prodotti conservabili (pasta, riso, conserve di pesce, conserve di pomodoro, ecc.) per creare stock casalinghi e prepararsi a eventuali situazioni di futura scarsità.

 – Forte orientamento a utilizzare la spesa on line la cui crescita esponenziale ha mandato in tilt il sistema delle consegne (+57% nella penultima settimana di febbraio, + 81% nell’ultima di febbraio +97% nella seconda settimana di marzo).

 – Forte orientamento, nella fase iniziale della crisi, ai prodotti di quarta e quinta gamma (ortaggi e pizze pronte) con successivo affievolimento della tendenza;

 – Incremento sotto media del segmento bevande (+9%), un comparto che negli ultimi anni aveva trainato la dinamica del food&beverage.

Orientamento quasi esclusivo verso la GDO, con ricorso dove possibile anche ai negozi di vicinato (frutterie e macellerie) sia per muoversi il meno possibile sia perché talvolta ritenuti più sicuri di ambienti comunque molto frequentati come i super o ipermercati.

– Nel complesso delle 4 settimane, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale: +21% nel cumulato delle 4 settimane con punte del 39% nell’ultima settimana; seguono il Nord Est con una crescita del 20%, il Centro (+19 % con il +30% nell’ultima settimana) e il Nord Ovest (+16%).

 – incremento del valore medio di vendita, non ascrivibili a fenomeni diffusi di palese speculazione, quanto piuttosto all’azzeramento delle promozioni.

– A livello di format distributivi, l’aumento delle vendite maggiore si registra nei Supermercati (+23% nelle 4 settimane su base annua) dove sono avvenuti quasi la metà degli acquisti (43%) e nei Discount (+20%).

La carne bovina da una parte è stata privata di uno sbocco importantissimo per alcune tipologie e tagli di maggior pregio con la chiusura del canale Horeca, dall’altra è alle prese con una profonda riorganizzazione dei circuiti distributivi e delle catene di approvvigionamento, in una filiera fortemente dipendente dall’estero.

Lo scenario che si profila è quello di un’offerta insufficiente a soddisfare la domanda domestica ma di un eccesso di disponibilità di tagli normalmente destinati all’Horeca e all’export più che agli scaffali della GDO.  Inoltre, sui mercati europei i prezzi delle carni bovine stanno scendendo, facendo prevedere un possibile incremento di carni estere sulle nostre tavole nelle prossime settimane. 

Nella filiera suinicola, si stima che l’emergenza Covid-19 comporti una riduzione del 20% della produzione, soprattutto a causa della minore operatività dei macelli che devono riorganizzare le strutture per mettere in sicurezza gli operatori. Si mantengono ancora abbastanza alti i prezzi dei tagli destinati al fresco e alla vendita nei punti della GDO per i quali il consumo risulta essere sostenuto, mentre le quotazioni dei tagli destinati alla stagionatura (prime fra tutti le cosce per i prosciutti DOP) sono in calo per il crollo della domanda dell’Horeca. Anche per l’industria della carne suina e dei salumi, le maggiori criticità dettate dalle condizioni di emergenza, riguardano la chiusura del canale Horeca – al quale di solito viene destinato circa il 25% della produzione. 

Il mercato avicolo è stato favorito da una domanda che fin dall’inizio lo ha privilegiato rispetto alle altre carni. Il settore, inoltre, gode dei vantaggi di un mercato nazionale autosufficiente e caratterizzato da forte integrazione verticale, elementi che lo hanno preservato da problemi legati alla dipendenza dall’estero o da altre componenti della filiera. L’aumento della domanda delle ultime settimane sta spingendo in alto i listini, ma tali incrementi dei prezzi risultano al momento ben assorbiti dalla GDO, interessata a riempire gli scaffali e soddisfare la richiesta.

Nel settore lattiero caseario, l’emergenza ha portato al graduale rallentamento degli scambi commerciali favorendo la creazione di eccedenze proprio nel periodo di maggiore produzione dell’emisfero boreale (UE e USA). In particolare, sul mercato tedesco, nelle ultime quattro settimane si sono registrati cali dei prezzi dell’ordine del 6% per il latte scremato in polvere, del 3% per il burro e del 4% per il latte intero in polvere. Sul mercato nazionale, dopo il significativo recupero registrato per gran parte del 2019, i prezzi all’ingrosso dei principali formaggi hanno iniziato a cedere durante l’autunno, mostrando una flessione via via più grande col passare dei mesi.

Con l’insorgere e la diffusione del coronavirus, soprattutto nelle aree di maggior produzione che risultano essere anche quelle più colpite dall’emergenza sanitaria (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), i prezzi dei formaggi grana hanno evidenziato una brusca frenata e la situazione è particolarmente critica per i formaggi freschi e per il latte fresco, la cui breve shelf life si scontra con le difficoltà logistiche e distributive e con l’assenza di domanda di bar, pasticcerie, gelaterie, ecc.

Il calo delle vendite da parte dei caseifici, e in alcuni casi il blocco della lavorazione per assenza di manodopera, ha influenzato il ritiro del latte presso gli allevamenti conferenti, determinando anche il crollo delle quotazioni del mercato spot la cui disponibilità risulta in forte crescita.

Al momento, la filiera ortofrutticola risulta regolarmente attiva, ma sono evidenti le criticità con cui dovrà confrontarsi a breve. In particolare, si fa riferimento alla carenza di lavoratori stranieri che hanno deciso di tornare nei paesi di origine rallentando le operazioni di raccolta e lavorazione degli ortaggi e ai problemi per il trasporto su gomma a causa dell’indisponibilità di alcuni vettori spagnoli a rifornire i mercati del Nord Italia, oltre al momentaneo blocco del traffico imposto dall’Austria (avvenuto giovedì 19 marzo)che ha rallentato il flusso distributivo degli ortofrutticoli italiani verso i mercati Nord Europei.

Il settore vitivinicolo, dopo aver confermato i grandi successi del 2019, ha iniziato il 2020 con pesanti incognite, alle quali si è aggiunto il fermo del canale Horeca sia in Italia sia nei principali Paesi acquirenti del vino italiano come Regno Unito e Stati Uniti. Facendo una stima molto approssimativa, e tenendo conto di due mesi di difficoltà a livello mondiale, potrebbero essere a rischio esportazioni per quasi un miliardo di euro, che certamente non sarà compensata, sul mercato interno, dalla accresciuta domanda da parte della GDO.

La chiusura di alberghi, agriturismi e ristoranti – oltre a ridurre lo sbocco per le produzioni nazionali – annulla un validissimo supporto promozionale dei prodotti verso gli acquirenti italiani e stranieri.

Il settore dell’olio di oliva italiano sta attraversando, ormai da qualche tempo, difficoltà strutturali e commerciali nonostante il prestigio delle sue produzioni di qualità. In tema di mercato l’Italia subisce la concorrenza della Spagna soprattutto per i prodotti di massa; mentre riesce a sganciarsi dalle dinamiche del mercato spagnolo sui prodotti di maggiore qualità. L’emergenza legata al Covid-19 non rappresenta un elemento di particolare criticità per la fase dell’imbottigliamento, essendo intervenuta in un momento in cui le aziende si sono già approvvigionate.

Per quanto concerne la filiera cerealicola, l’elevato livello delle importazioni è una delle principali criticità, con la fase agricola sempre più deficitaria di materie prime e la fase industriale, sempre più apprezzata sui mercati esteri. In tale contesto, la diffusione del Covid-19 pone le industrie italiane di trasformazione in una condizione di estrema vulnerabilità sul fronte dell’approvvigionamento della materia prima, soprattutto per il prodotto di provenienza estera (Europea in particolare) che, viaggiando via terra è più soggetto a misure restrittive o, in generale a problemi logistici. Ancora più critico è il contesto per i mangimifici e per gli allevamenti, dove non è possibile fare scorte in abbondanza.