( di Enzo Russo) Finalmente riusciamo a raggiungere Anselmo Chiarli dopo varie telefonate, perché di questi tempi con il virus che è ritornato a circolare con più forza, gli appuntamenti risultano difficili. Lo incontriamo nella sede del sua Azienda a Modena, dove ci sta aspettando, rigorosamente con la mascherina, per parlare del Lambrusco con la vendemmia oramai alla fine. La vendemmia 2020 è archiviata: «E’ andata secondo le previsioni anche se non è stata abbondante come due anni fa» ci spiega Chiarli con voce tranquilla che non lascia trasparire preoccupazioni di nessun genere. Anche se qualche pensiero c’è, la sua non è un azienda da poche migliaia di bottiglie, ma di milioni che partono per i mercati nazionali ed esteri dove il virus sta creando problemi di ogni genere.

«Nel complesso è andata bene, anche se per alcuni non è andata alla stesso modo nelle varie famiglie del Lambrusco. Poi all’interno di questo quadro generale abbiamo il vigneto Grasparossa di Catelvetro, un vino importante, che ha prodotto molto di più perché in zona collinare che è stata premiata dal bel tempo, pioggia e non ci sono state grandinate.  Quindi un ottimo risultato sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo». E il Lambrusco Sorbara? «Abbiamo avuto una produzione importante di qualità che conferma tutte le aspettative, dai profumi alla buona acidità, due essenziali elementi che ne fanno un importante vino. Un po’ meno il Salamino di Santa Croce che rimane sempre una produzione importante, così come il Pignoletto che nell’insieme è andato bene soprattutto per la qualità  che per sue caratteristiche organolettiche. E’ stata una vendemmia buona che non ci ha delusi sotto tutti gli aspetti».

In questo momento particolare, dove Covid 19 sembrava rallentare nei contagi infondendo fiducia in una ripresa economica produttiva, il virus ha ripreso ad espandersi a macchia di leopardo su tutto il Paese con Regioni che sono quasi in totale lockdown,  quali potranno essere le ripercussioni commerciali alla luce di queste nuove restrizioni, sia di movimento delle persone sia di quasi  totale chiusura del settore horeca e poi dei mercati esteri, per voi molto importanti?

«Sono due i problemi, il vino che viene distribuito e venduto sul mercato nazionale e l’altro  è l’esportazione. All’interno di questi due argomenti c’è un altra suddivisione, tutto il prodotto che va alla  grande distribuzione e quello indirizzato all’horeca. Fino ad oggi sappiamo che il vino venduto nella grande distribuzione e nei discount  è andato benissimo perché i consumatori, che non sono andati al ristorante o in altri posti, se lo sono comprato in questi punti vendita e di vino se ne è venduto di più. L’horeca è stata un disastro.  In questo senso, si può dire che il saldo è negativo, in particolar modo tutte quelle aziende medio piccole che producono degli ottimi Lambruschi  che presidiano il territorio e vivono delle vendite nella ristorazione, bar ed enoteche. Molte sono a conduzione familiare che vivono solo di questo. Sono stati penalizzati i più i bravi a fare il Lambrusco. Chi ha premiato il Covid? Paradossalmente possiamo dire  quelle le aziende che servono la grande massa per rifornire la G.D. e i discount. Rimane evidente che in questo contesto il Lambrusco doc di qualità è stato penalizzato dal mercato».

Il saldo è negativo in particolar modo per le cantine più piccole, quelle che lavorano sull’alta qualità per l’horeca, quelle più attente

Dalle parole di Chiarli sembra di capire che c’è Lambrusco e Lambrusco e il Lambrusco doc non lo si può trovare al discount perché la qualità non la si ottiene a costi popolari. E per quanto riguarda l’estero, ne avete risentito e su quali mercati? 

«Eccome. Sul mercato americano, in particolare, dove avevamo impostato una vendita di qualità rivolta al settore horeca, ma abbiamo visto come sta andando, un disastro che evidentemente coinvolge tutto il settore del vino. Oltre alla crisi dei consumi c’è anche quella economica, il consumatore si  rivolge verso vini di fascia più bassa che vede aumentare la richiesta di vini in bottiglione, i bag in box da due/cinque litri.. Questo virus sta cambiando la nostra vita in tutti i sensi e quindi bisogna prenderne atto e rivedere alcune cose che si davano per scontate. Non sarà più così».

In questi ultimi anni il Lambrusco, nelle sue diverse tipologie, è diventato  buonissimo  e di qualità che se la gioca sui mercati nazionali alla pari con tanti altri vini. E per competere e incidere sul mercato nazionale ed estero, quest’anno avete unito i due Consorzi di Modena e Reggio E. per ottimizzare e valorizzare al massimo il fresco e spumeggiante Lambrusco che nasce nei due distretti che hanno una storia enogastronomica antichissima. Lei cosa ne pensa?

«Credo sia stata una scelta positiva anche perché di fatto gli attori operavano nelle due province ma quando si usciva fuori dall’Emilia, questo distinguo i mercati e il consumatore facevano fatica a capirlo. Quindi oggi parlare un linguaggio comune fa bene al Lambrusco e alle aziende che lo producono, l’importante è che a parlare ci sia una direzione forte che parli con un unica voce che sappia interpretare questo nuovo corso con azioni innovative di comunicazione per migliorare il posizionamento e le vendite del Lambrusco, soprattutto all’estero,  dove da anni il nostro vino è soggetto a imitazioni di ogni genere che vanno ad offuscare il vero Lambrusco doc, una bandiera del Made in Italy».