(di Rocco Fattori Giuliano) Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha già lasciato il segno sull’economia italiana, e a farne le spese, nelle ultime settimane, è stato uno dei settori simbolo del made in Italy: quello degli alcolici. Dal momento in cui la nuova amministrazione ha confermato l’introduzione di dazi al 25% su vini e liquori europei, il mercato ha iniziato a scontare il colpo, penalizzando in particolare i marchi con forte esposizione oltreoceano.

Campari – qui sopra il grafico a cinque anni – ha perso il 13,55% nell’ultimo mese, toccando i minimi da inizio anno. Una frenata netta per il gruppo milanese, che aveva costruito gran parte della sua crescita internazionale proprio sul mercato statunitense. La perdita di valore negli ultimi dodici mesi supera il 40% e Campari ha proseguito nella campagna di riacquisto di azioni proprie (,6 milioni rilevate sulle 8 messe a budget). Wall Street, oggi, non è più terra promessa: i nuovi dazi alzano il prezzo al consumo e rischiano di intaccare la marginalità dei prodotti premium, proprio nel momento in cui la domanda americana mostra i primi segnali di saturazione.

La flessione coinvolge anche Masi Agricola, qui sopra il grafico a cinque anni, storica etichetta veronese da sempre proiettata verso l’export: -10,09% il bilancio degli ultimi trenta giorni. A pesare non è solo la prospettiva di un calo degli ordini da parte degli importatori americani, ma anche l’incertezza sulla durata di queste misure, che rischiano di rimanere in vigore per lunghi periodi, rallentando l’intero comparto.

Colpita anche Italian Wine Brands, che pur mantenendosi su livelli più stabili, oggi si avvia ad una chiusura in territorio positivo con quasi 10 punti di guadagno nel valore del titolo nell’ultimo anno, mostra segnali di cautela da parte degli investitori. Le previsioni per il primo semestre 2025, secondo alcuni analisti, sono già in revisione al ribasso.

Tra i produttori italiani prevale una certa rassegnazione: si spera in una soluzione diplomatica o in una revisione del provvedimento, ma intanto si fanno i conti con un cambio di scenario. Alcuni, soprattutto tra i piccoli esportatori, stanno già valutando nuovi mercati – Canada, Corea del Sud, Sud America – per diversificare il rischio.

Nel frattempo, la Borsa guarda con diffidenza all’intero comparto. E a pagare il prezzo più alto sono le imprese chi negli ultimi anni aveva scommesso su crescita e internazionalizzazione.