Dal 2017 “Emozioni oltre il Gusto”, piccola maison veronese di importazione di vini francesi fondata e diretta da Sergio Bruno, manager d’industria (nella foto qui sotto), porta in Italia grandi vini francesi selezionati uno ad uno nelle fiere e negli chateaux d’Oltralpe. Sette anni non facili contraddistinti dalla grande pandemia e oggi da nuove tensioni economiche che stanno cambiando le abitudini di consumo dei winelover italiani. Ciò nonostante, “Emozioni oltre il Gusto” ha portato le cantine in catalogo da 5 a 38; da 110 a 600 le etichette gestite; le macro-regioni transalpine da 5 a 14; da zero a 23 collaboratori; le bottiglie vendute da poco più di 2mila a quasi 18mila.
Bruno, ma come ha fatto?
«Negli ultimi otto anni le abitudini del consumatore italiano verso i vini francesi sono cambiate in modo quasi radicale. Da un lato, è cresciuta la curiosità e la consapevolezza: oggi – risponde Sergio Bruno – bere vini francesi di qualità non significa necessariamente spendere cifre elevate, e questo ha avvicinato molti appassionati al mondo del vino d’Oltralpe, sfatando il pregiudizio dell’eccessiva esclusività. Dall’altro, abbiamo assistito a una forte discontinuità nei comportamenti di consumo: durante il lockdown l’online ha trainato vendite interessanti; nel post-pandemia, c’è stata un’ondata di entusiasmo che ha favorito le bollicine, Champagne in testa; negli ultimi 18 mesi, però, si è registrato un rallentamento generalizzato su tutte le fasce di prezzo, complice un mix di fattori economici e sociali. Per esempio, lo Champagne, dopo un biennio molto positivo, ha subito una battuta d’arresto nel 2024: -10% complessivo, con -7% in Francia e -11% all’export».
Se lo Champagne cala, cosa cresce?
«Chablis, soprattutto nelle fasce d’ingresso come Petit Chablis e Chablis; Pinot Noir di Borgogna, uno dei pochi rossi francesi che continua a tenere nonostante prezzi ormai sostenuti anche per le etichette più semplici; Rosé di Provenza, in costante crescita grazie alla richiesta di vini freschi, leggeri, che “sanno di vacanza”; Muscadet della Loira, finalmente riconosciuto dagli appassionati di ostriche come l’abbinamento perfetto sfatando il luogo comune dello Champagne. In sintesi, il mercato italiano oggi è più curioso, più maturo e più selettivo. E chi sa raccontare e distribuire bene queste sfumature — dai terroir più noti a quelli meno conosciuti — può davvero giocare un ruolo chiave nella crescita culturale del consumatore».
I Crémant sono in crescita: stanno erodendo il fascino dello Champagne?
«È un tema che mi sta particolarmente a cuore. Fin dall’inizio, uno dei miei obiettivi era raccontare l’intero panorama delle bollicine francesi, non solo lo Champagne: Blanquette, Crémant e tutte le espressioni del méthode traditionnelle (il nostro metodo classico). E così abbiamo fatto. Con l’ultimo ingresso — il Crémant della Savoia — il nostro catalogo è quasi completo. Negli anni ho visto un interesse crescente per i Crémant, e non a caso: permettono di scoprire territori meno noti; offrono profili stilistici differenti rispetto alle bollicine italiane; incarnano il fascino del vino francese, ma spesso a prezzi più accessibili anche rispetto a molti metodo classico italiani. Detto ciò, lo Champagne resta e resterà sempre il simbolo della celebrazione e dell’eleganza».
Oggi lo Champagne costa troppo?
«Ma…se gli operatori del settore fossero un po’ meno “ingordi” — perdoni la franchezza — si potrebbero ottenere risultati più sani e duraturi. Sia con lo Champagne che con i Crémant. Spesso si applica un moltiplicatore da listino irrealistico, convinti che “non si debba sminuire il prodotto”. Ma oggi: i tempi delle vacche grasse sono finiti; il consumatore è più attento e meno disposto a spendere “a cuor leggero”; continuare così significa uscire dal mercato. Con una politica di prezzo più intelligente, tutti gli attori della filiera — importatori, agenti, enotecari, ristoratori — ne avrebbero beneficio. Oggi, i Crémant sono sempre più presenti nei wine bar e nei locali con mescita al calice: è lì che il pubblico li scopre, li apprezza, li ribeve. Ed è questo, secondo me, il segnale più forte del loro successo».
Quali sono le piazze italiane più forti oggi?
«Dopo otto anni sul territorio, abbiamo costruito un posizionamento solido e — per quanto siamo una piccola realtà — direi sorprendente. Le migliori performance non arrivano necessariamente da Roma o Milano, ma da aree meno scontate: Pescara, Chieti, Nord delle Marche, alcune zone della Lombardia (come Brescia), Basso Veronese, Area ovest di Firenze.
Roma e Milano hanno certamente un enorme potenziale, ma sono mercati molto difficili: ci abbiamo provato, abbiamo avuto collaborazioni promettenti sulla carta, ma poi naufragate. Preferisco lavorare con chi condivide davvero il nostro approccio e ha voglia di proporre e raccontare novità. Tanti professionisti mi contattano incuriositi, ma poi quando comprendono il lavoro che c’è da fare la frase è sempre la stessa: ma sono prodotti nuovi e c’è da impegnarsi per farli conoscere…ma non dovrebbe essere proprio questo il bello?
Nei grandi centri c’è guerra sui prezzi, e una domanda focalizzata solo sui marchi noti. Entrare in grandi agenzie significa spesso diventare “un numero”, e perdere la possibilità di raccontare davvero ciò che si distribuisce. La disaffezione del pubblico verso il vino, a volte, parte da lì: se nemmeno chi lavora nel settore è curioso, come possiamo aspettarci che lo sia il cliente? Il nostro catalogo può sembrare impegnativo, ma chi sceglie di lavorarci scopre, racconta, si appassiona. E alla fine, si diverte. È lì che succedono le cose più belle. I prossimi obiettivi? Trovare collaborazioni solide a Roma, Milano, e anche in piazze interessanti come Napoli e Bari».
Qual è il vostro vino più venduto?
«Le bollicine rappresentano circa il 60% delle nostre vendite. In termini di denominazioni: Champagne, Crémant in generale, in particolare Crémant de Bourgogne. I due vini più venduti degli ultimi tre anni sono stati: Champagne de Barfontarc Brut Tradition e Crémant de Bourgogne Paul Chollet. I vini fermi sono meno numerosi ma comunque significativi: Chablis e i bianchi della Loira sono quelli che performano meglio. Cerchiamo, con pazienza, di far conoscere anche il resto del catalogo. E quando troviamo un cliente curioso, disposto a scoprire, capiamo che questo è il vero bello del nostro lavoro: sorprendere con vini che nessuno si aspetta».
Quali sono le ultime cantine entrate nel vostro portafoglio?
«Era da tempo che cercavo di completare il nostro “album delle figurine” — così chiamo il catalogo — con l’inserimento delle ultime AOC mancanti. Quest’anno finalmente sono arrivate: una realtà del Beaujolais, una della Savoia, e, un po’ per caso, un produttore straordinario del Mâconnais. Il processo è ormai rodato: si parte da esigenze specifiche (territori mancanti, tipologie particolari); si fa una ricerca approfondita online, verificando che le aziende non siano già distribuite in Italia; si fanno gli incontri in cantina o alle fiere internazionali. Dopo i primi assaggi, non si decide mai subito. Si portano a casa i campioni, si riassaggiano con calma. A volte capita che il secondo assaggio smentisca l’entusiasmo del primo. Per questo, il momento della scelta è delicato: una volta che un vino entra in catalogo, non si può più tornare indietro, per serietà verso la rete vendita e i clienti. I criteri di selezione? Qualità del prodotto, facilità di beva, e voglia di ribere: per me è il cuore di tutto. Infine, la serietà del produttore. Il prezzo? Lo valuto solo alla fine, per non farmi condizionare».