(bg) Mission accomplie, missione compiuta. Il sogno di Massimo Gianolli e di Christian Roger della Collina dei Ciliegi è diventato realtà e l’idea di creare un “super-valpantena”, un vino nuovo di altissima qualità, è diventata tangibile, concreta. Erbin – contrada della Lessinia veronese sopra Grezzana, un balcone affacciato sulla pianura padana a pochi chilometri in linea d’aria dall’Arena, un territorio povero, di sacrificio e sudore, contraddistinto dall’abbandono a vantaggio delle attività del fondovalle –  è diventata un ”haut lieu” in grado di produrre due vini d’eccellenza, pensati e prodotti seguendo regole e disciplina imposte sin dalla prima progettazione.

Un passo indietro è d’obbligo: Erbin è il luogo di crescita del piccolo Armando Gianolli, oggi attivissimo centenario, lì mandato a balia. Armando cresce, torna a Milano, va in collegio, studia e si fa la sua strada nella vita lavorando nelle assicurazioni. Ma Erbin gli è rimasta nel cuore e compra, appena può permetterselo, un fondo agricolo.

E’ lì che suo figlio Massimo scopre e sceglie l’agricoltura. Diventa perito agrario e ad Erbin sceglie di iniziare il suo percorso professionale. Con fatica. Sporcandosi le mani nei campi, guidando Lamborghini, un vero Lamborghini: un trattore a cingoli che ancora oggi, mezzo secolo dopo, sferraglia su e giù per la collina. Anche Massimo Gianolli lascia per un po’ Erbin.

Entra nella finanza, crea la propria società, la quota in Borsa. Senza mai dimenticare quel borgo che diventa il cuore de “La Collina dei Ciliegi”: un corpo unico di 68 ettari, dai 350 ai 700 metri sul livello del mare. 13 ettari sono di bosco, a tutela della biodiversità del luogo; 10 a prati dove si alleva la pecora brogna, razza autoctona e presidio Slow Food; 45 ettari sono di vigneto di cui 17 destinati alla Doc Valpolicella e 28 ai “super-valpantena”.

E qui torniamo a questi die IGT “Prea” – ovvero pietra – Bianco (prima annata 2020) e Rosso (prima annata 2021). Tutto parte da una domanda di Massimo Gianolli a Christian Roger: «Facciamo Valpolicella e Amarone, va bene. Ma adesso?».

Una domanda che diventa una sfida. Siamo nel 2016. Roger propone di affidarsi a due scienziati dei terroir, gli agronomi francesi Lydia e Claude Bourguignon (li vedete insieme a Massimo nella foto d’apertura) , una vita passata a studiare i suoli di mezzo mondo.

I due arrivano a Erbin, chiedono un escavatore, si “infilano” nella terra. Il verdetto è entusiasmante: il suolo è vergine, mai lavorato in modo intensivo, ricco di materia organica in una percentuale come mai si vede al giorno d’oggi, ricco di magnesio. Ha un potenziale enorme, perfetto per un vino…bianco.

Massimo Gianolli, a sua volta, sbianca: “Come faccio a proporre un vino così in Valpolicella?  Mi prenderanno per matto…”. Ma i dati son tutti lì, nero su bianco. Bisogna provarci. Ma Lydia e Claude non si fermano: “Volete un grande vino che valorizzi questo haut lieu? Dovete fare tutto quello che vi diciamo”. Zero indecisioni, zero mediazioni, zero facilitazioni.

Il terreno non si tocca; niente scassi; niente terrazzamenti; niente portainnesti che premino la produzione; nessuna irrigazione se non in casi eccezionali; grande competizione fra le vigne – 7.700 ceppi per ettaro – che debbono cercarsi da sole, nella profondità del terreno, fra le rocce calcaree intonse e fra gli strati originali, la propria strada al nutrimento. La produzione di uve deve stare fra i 40 ed i 60 quintali per ettaro.

Prea, le note di degustazione

Si punta sui vitigni autoctoni garganega e corvina. Si scelgono due internazionali per arricchire Prea bianco: chardonnay e pinot bianco. Il teroldego va ad irrobustire il Prea rosso. Le uve bianche e la corvina vengono allevate sino a 620 metri d’altitudine; il montanaro teroldego si spinge sino a 670 in una parcella che si chiama “Magròn” a conferma che lì, prima delle vigne, c’era davvero ben poco…

Il Prea rosso, alla prima annata, fermenta in vasche di cemento dove svolge anche la malolattica: affina in botti di rovere da 25 ettolitri e in tonneaux di rovere francese da 500 litri. Una piccola partita è affinata solo in anfora di terracotta. A quattro anni dalla vendemmia è ancora giovane, promette di essere assai longevo, al naso e al palato è vibrante, fresco, ricco di profumi e sapori chiudendo su una nota calcarea che è la firma del terroir. Da prendere ora e dimenticare per qualche anno in cantina.

Il Prea bianco ha già un’impronta più matura, più adulta. Anche qui i profumi al naso sono immediati, potenti, ricchi. Il palato è molto vivace, persistente, appagante. Il suolo calcareo gli regala mineralità e acidità.

In Valpantena, la pietra si estrae e produce strutture immobili.  A Erbin, la pietra diventa viva.